- Nome, cognome, ruolo.
Anna Cataleta, Avvocato, Senior Partner P4I, advisor osservatorio del politecnico di Milano Cybersecurity e privacy e presidente di Officine dati.
2. Quali sono le supereroine a cui ti sei ispirata/ a cui ti ispiri?
Parto con il dire che, personalmente almeno, non mi piace categorizzare i grandi personaggi in supereroi piuttosto che in supereroine. Ci sono e ci sono state persone, donne in questo caso, che hanno compiuto grandi gesta ma le apoteosi le lascio volentieri ai poemi greci e ai grandi pittori neoclassici. Fatta questa doverosa premessa se parliamo di donne a cui mi sono ispirata durante la mia vita professionale e non, mi vengono in mente, tra le tante s’intende, due figure, figlie di epoche diverse ma che hanno in comune il fatto di essersi imposte in settori in cui le donne, storicamente, hanno avuto poca voce in capitolo. Mi riferisco ad Amelia Earhart e a Giusella Finocchiaro, che ho il privilegio di poter chiamare amica.
Ovviamente sono personaggi molto diversi tra loro ma, a ben vedere, non così diversi nella sostanza. La Earhart è stata un’icona dell’aviazione, senza genere, è stata la seconda persona nella storia ad attraversare l’Oceano Atlantico in volo in solitaria e la prima a circumnavigare il globo seguendo la rotta equatoriale. Per fare un raffronto basti pensare che, in Italia, la prima donna pilota – Fiorenza De Bernardi – effettuò il suo primo volo dopo più di trent’anni dalla Earhart e che Deborah Rossi è diventata la prima donna pilota a lungo raggio nella storia di Alitalia/ITA solo lo scorso aprile! La Earhart è per me anche un messaggio metaforico è andata in alto ed è morta per questo.
Per quanto riguarda Giusella, invece, è stata una pioniera nel campo di quella che oggi viene chiamata, con un inglesismo “tech law”, che altro non è che il diritto applicato alle nuove tecnologie, internet in primis. Lei è stata una delle prime, in Italia almeno, a coniugare un mondo come quello del diritto che fino a qualche anno fa era estremamente settoriale e composto di tanti piccoli compartimenti stagni che raramente si intersecavano tra di loro, figurarsi con altre discipline al di fuori del diritto, con il mondo IT. Questa contaminazione tra il diritto stricto sensu che ha come fondamenta leggi scritte ottant’anni fa e discipline molto più dinamiche e mutevoli come quelle legate al mondo STEM e, in particolare, al mondo IT ha fatto si che si formasse una nuova generazione di giuristi con competenze e conoscenze trasversali che vanno ben al di là del singolo codice, della singola legge o della procedura, ma che si adeguano al momento storico e che mutano e si evolvono con esso. Almeno questo è ciò che richiede attualmente il mercato. Giusella è stata ed è ancora ovviamente, una “tech lawyer” ante litteram, per così dire.
3. Puoi raccontarci la tua esperienza come donna nel settore della protezione dei dati e delle nuove tecnologie (di seguito “settore”)?
La mia esperienza inizia circa vent’anni fa come manager in una multinazionale del settore TelCo. All’epoca nessuno, o quasi, si occupava nello specifico di regolamentazione dei dati, in particolare nel settore delle telecomunicazioni. Il Codice era appena entrato in vigore e non c’era neanche l’ombra di alcun tipo di disciplina comune a livello europeo, figuriamoci, l’euro era da poco divenuto la moneta unica, parlare di dati e di data economy era fantascienza allora. Nell’azienda in cui lavoravo si era liberato un posto come responsabile della regolamentazione, quello che oggi è il DPO, posto in cui pochi vedevano delle vere potenzialità di carriera nel lungo periodo e che proprio per questo nessuno aspirava ad occuparlo. Io mi proposi per quella posizione perché vedevo ciò che stava accadendo nel mondo dopo l’avvento di Internet in pochi anni e immaginai un futuro, neanche troppo prossimo, in cui i dati sarebbero circolati con una velocità e una facilità enormemente maggiore rispetto a quanto non succedesse all’epoca. Se vent’anni fa avessi chiesto in giro ad una persona qualsiasi dove pensava fossero conservati i propri dati personali sicuramente avrebbe risposto che li aveva lo Stato o la banca, ed effettivamente era proprio così. I dati personali, a differenza di quanto accade oggi, erano infatti custoditi da una cerchia ristretta di individui,, che li trattavano quasi esclusivamente per finalità amministrativo-istituzionali. Sembra che stia parlando di secoli fa ma, quando ho cominciato a lavorare in questo settore, la maggioranza della popolazione in Italia non possedeva un telefono cellulare e, se lo possedeva, le funzioni erano limitate alle sole chiamate. I social network così come li intendiamo noi oggi non esistevano, c’era solo MSN ma era una semplice piattaforma di messaggistica, nulla più. Tutto questo per dire che sì, i dati circolavano anche vent’anni fa, ma in quantità molto minore e soprattutto venivano trattati da una quantità di soggetti sensibilmente inferiore rispetto ad oggi e quindi quasi nessuno se ne occupava, o meglio, preoccupava.
Ho avuto la fortuna, a mio avviso, di poter formare mia professionalità nel mondo dei dati e della privacy in un contesto culturale, quello Europeo, in cui è ed è sempre stata di centrale importanza la tutela dell’individuo rispetto ad altri interessi e quando ho deciso di intraprendere una carriera in questo settore ho fatto una scommessa, certo, ma i segnali di ciò che di lì a poco sarebbe successo c’erano, bisognava solo saperli cogliere.
4. Come vedi il ruolo delle donne nel settore?
Ritengo che il ruolo delle donne nel settore sia assolutamente complementare. E questo grazie alle caratteristiche che le donne apportano nei contesti lavorativi in generale. Mi riferisco in particolare all’approccio molto pragmatico dettato da una serie di tratti intrinseci che penso possiedano le donne in quanto tali e che tendono all’inclusività, all’approccio multidisciplinare, alla curiosità e soprattutto alla capacità di adattarsi ai contesti dinamici.
5. Qual è il valore della diversità nella leadership?
Quando si parla di leadership, a mio avviso, l’unica diversità che conta realmente è quella relativa alle competenzee capacitàdi adattarsi ai contesti e cambiamenti null’altro ma non è poco. Una leadership, in senso lato, che funzioni non può e non deve basarsi su distinzioni che non siano quelle relative alle competenze delle figure apicali e soprattutto alla capacità di adattamento ai continui cambiamenti del mercato. Detto questo, sicuramente si possono fare dei ragionamenti in merito alla penuria di donne che ricoprono posizioni al vertice nelle principali realtà industriali, e non solo, in Italia. Però, come ho già detto, credo che oltre un certo livello la carta d’identità non conti più, si guardano solo i risultati.
6. Ritieni che ci sia una gender gap nel settore? Hai mai dovuto affrontare stereotipi di genere o pregiudizi durante il tuo lavoro?
Assolutamente sì. Ma credo che sia un problema sistematico e non settoriale. È inutile nascondersi dietro il proverbiale dito. Oggi, soprattutto in Italia c’è una dicotomia in tal senso. Mi spiego meglio: se consideriamo le posizioni junior e “entry level” sicuramente il divario di genere è più sottile e, in alcune realtà soprattutto quelle con respiro più internazionale, è persino nullo. Se invece consideriamo le posizioni manageriali e i ruoli executive emerge un divario enorme, sia per la quantità di donne che effettivamente ricoprono tali ruoli, sia per la diversità nei compensi. Il problema, come ho già detto, è sistematico e non si risolve agendo dall’alto e imponendo quote rosa nei CDA, che non sono altro che un contentino, si deve risolvere sia dal basso, dall’istruzione e dalle competenze ma anche e soprattutto culturalmente e a tale riguardo la politica potrebbe e dovrebbe fare molto di piu’.
7. Come può l’empowerment femminile influenzare positivamente il settore?
Come ho già detto, la presenza femminile nel settore è complementare e, aggiungo, essenziale. Non dimentichiamoci che quando si parla e soprattutto si tratta di dati,si parla di individui e dei loro diritti e lbertà. Penso che tra le tante caratteristiche che contraddistinguono le donne, una di queste sia senza dubbio quella di una empatia nei confronti di determinate tematiche e questo perché, storicamente, le donne hanno dovuto lottare per ottenere alcuni privilegi che agli uomini erano concessi per il solo fatto di essere tali. Porto un esempio che mi ha molto fatto riflettere, ma ce ne sarebbero molti altri: pensiamo a quanto è accaduto e sta accadendo tutt’ora negli Stati Uniti per quanto riguarda il diritto all’interruzione della gravidanza che è stato negato, da un giorno all’altro, a milioni di donne americane con enormi ripercussioni anche sulla privacy. In uno stato come il Texas, uno dei più ricchi d’America, le donne hanno dovuto cancellare le App di controllo del ciclo mestruale e hanno paura ad effettuare su Google ricerche sull’aborto perché temono di essere tracciate e denunciate, tutto questo nel 2023 negli Stati Uniti e non, con tutto il rispetto, in un paese sottosviluppato del terzo mondo.
8. Quali iniziative ritieni essere utili per aumentare la partecipazione delle donne nel settore? Pensi che la data protection e le nuove tecnologie possano essere utilizzate a questo fine?
Riprendo quanto ho detto in precedenza: partendo dal basso. Dalla scuola e dalle università, non c’è altro modo. Finché ragioneremo con questo sistema binario per cui questa scuola è “da donne” o quella facoltà “è da uomini” continueremo a ghettizzare interi settori così come è stato fatto nei secoli scorsi. In questo le nuove tecnologie possono svolgere un ruolo fondamentale. È importante, anzi è fondamentale, far passare il messaggio che non esistono più percorsi fatti sui binari o cuciti addosso per cui, ad esempio, se sono una donna farò l’umanista ma non l’ingegnere meccanico o il CISO, così come è stato impresso nell’immaginario collettivo per troppo tempo. Siamo però nel 2023, e se io fossi una ragazza all’ultimo anno di scuola superiore aprirei LinkedIn o cercherei sui motori di rcerca e vedrei che ci sono una moltitudine di donne che fanno gli ingegneri, i DPO o i CISO e allora mi direi: perché no?
9. Quali consigli daresti alle giovani donne che vogliono intraprendere una carriera nel settore?
Consiglio di essere curiose e di avere uno spirito teso alla conoscenza e alla formazione costante. Bisogna aver chiaro che il nostro è un settore relativamente nuovo nel panorama del diritto e soprattutto in continuo cambiamento in quanto si basa e cambia con il cambiare delle tecnologie e dei sistemi informativi. Per questo ci si ritrova molto spesso a rincorrere piuttosto che a prevenire. Una donna che approccia al settore deve avere competenze trasversali che vanno oltre la conoscenza delle norme in materia di protezione dei dati ma deve essere in grado di analizzare informazioni anche di carattere tecnico in modo da applicare un approccio multidisciplinare alle problematiche che le si pongono davanti.